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Edgar Aubert de la Rüe (Geneva, 7 de Outubro de 1901 – Lausana, 24 de Fevereiro de 1991) «est un ingénieur-géologue franco-suisse formé à l’Institut de géologie appliquée de Nancy. Ses nombreux voyages, principalement dans les colonies françaises, l’amènent à étendre ses champs d’intérêt à la géographie humaine et à la photographie. Il est considéré comme un spécialiste des îles (« L’Homme et les îles », 1935). Il a notamment séjourné à Saint-Pierre-et-Miquelon, aux Nouvelles-Hébrides et a été le pionnier de l’exploration intérieure des îles Kerguelen.», segundo a Wikipédia.
De la Rüe, nas suas viagens, passou pelos Açores. É por isso, certamente, que os Açores são referidos múltiplas vezes no seu «L’Homme et les îles». Mas é por isso, também, que publicou sobre os Açores na revista de viagens «Le Vie del Mondo», em particular no n.º 8 do ano XXVII, em Agosto de 1965. O artigo intitula-se «Visita alle Azzorre». Num preâmbulo do artigo lê-se o seguinte:
«Il nostro collaboratore [Edgar Aubert de la Rüe], durante un lungo soggiorno nelle Azzorre – nove isole sparpagliate in mezzo all’Atlantico – ha raccolto un’eccezionale documentazione. Offriamo ai lettori il « rapporto » di E. Aubert de La Rüe sull’arcipelago certo tra i più allettanti del mondo per la sua bellezza e primitività»
De acordo com a lista de viagens do autor em https://bit.ly/3LeE7ub, ele terá estado nos Açores várias vezes entre 1933 e 1973. Datando o artigo de 1965, é provável que as fotografias que o ilustram, do autor, sejam pouco anteriores.
Vale a pena ler o artigo. Destaco o seu final:
«La lontananza, l’isolamento geografico, le attrezzature alberghiere quanto mai sommarie (fatta eccezione per due o tre buoni alberghi a São Miguel) consentiranno alle Azzorre di vivere ancora per qualche tempo al ritmo tranquillo e lento del passato. Quando i progetti volti a incrementare il turismo saranno divenuti realtà, anche questo bell’arcipelago conoscerà l’invasione degli stranieri. Saprà allora conservare intatte le proprie caratteristiche e tutto ciò che concorre oggi a formarne l’incanto?»
Outros extractos:
«Alle Azzorre i vulcani oltre alla funzione decorativa ne hanno anche una pratica, soprattutto la caterva di piccoli coni che si sono formati in un secondo tempo sui fianchi delle grandi « caldeiras ». Gli isolani li sfruttano scavandoli profondamente per estrarne lava, impiegata come materiale da costruzione oppure per pavimentare le strade, o anche ricavandone deliziosi crateri-giardino umidi e ben protetti dal vento.
Generazioni intere hanno dovuto faticare parecchio, prima che l’arcipelago si coprisse di giardini e di campi. La foresta che am- mantava originariamente le isole ne ha fatto le spese; ma è stato necessario lavorare duro per trasformare in pascoli e in terreni arativi anche le colate. Grandi zone sono state spianate, dopo che i blocchi di lava che le coprivano erano stati rimossi e utilizzati per levare muri a riparo del vento. I declivi troppo ripidi vennero addolciti adottando il sistema della coltivazione a terrazze sostenute da muretti di lava. Alcune colate relativamente recenti e ancora irte di asperità pericolose sono state abbandonate a una vegetazione di arbusti contorti lauri, in genere il cui fogliame serve da foraggio e il legno da combustibile. È, a esempio, il caso dei torrenti di lava scesi dalle alture fra Capelo e Areeiro, a Faial, il 12 aprile 1672, durante l’unica eruzione vulcanica registrata dalle cronache di quest’isola prima di quella del 1957-58. In varie zone rocciose di questo tipo sono stati piantati alberi di facile attecchimento: pini, eucalipti, e soprattutto cryptomerie, conifere del Giappone di rapida crescita, il cui legname è impiegato nelle costruzioni, e che oggi coprono vaste distese, a Faial e a São Miguel, riparando almeno in parte i danni del diboscamento avvenuto durante cinque secoli di colonizzazione. Ben poco è rimasto dei boschi originari, sulle vette di Pico e di Flores e sul fondo dell’ampia « caldeira » di Faial. Sulle pendici di Pico, i boscaioli abbattono gli ultimi cedros i ginepri dal legno odoroso, che i velieri trasportano quasi giornalmente a Horta, dove sono venduti come legna da ardere. La splendida vegetazione delle Azzorre non è indigena; consta pressoché esclusivamente di piante e alberi provenienti da diverse parti, le quali formano un paesaggio vegetale straordinariamente vario, a carattere tropicale.»
«Le colture dominanti sono il frumento e il granoturco; le pannocchie che vengono con- servate per le semine successive sono appese in grossi grappoli ai pali rizzati nei cortili delle case, per preservarle dai topi. La coltivazione delle piante tropicali la patata dolce, il taro, chiamato qui col nome di « inhame » e il banano sostiene una parte importante nell’alimentazione. Mentre i banani delle Azzorre, benché protetti contro il vento da siepi alte e robuste, danno frutti di qualità assai mediocre, l’ananasso dal 1864 è una specialità dell’isola di São Miguel – vi prospera magnificamente. La produzione su larga scala si pratica in serre riscaldate esclusivamente dal sole. Le chiamano le « estufas »; le più grandi contengono fino a 2000 piante. Gli ananassi delle Azzorre – i migliori del mondo, a detta dei coltivatori – sono destinati al mercato europeo.
Un’antica coltura, quella della canna da zucchero, è stata abbandonata da un pezzo e sostituita dalla barbabietola, che fornisce la materia prima allo zuccherificio di Ponta Delgada. Importante è altresì la produzione della cicoria, disseccata sul posto ma lavorata poi nel Portogallo. Ricorderemo ancora le piantagioni di tè di São Miguel, dall’aroma mediocre, e di ta- bacco, che in parte viene lavorato sul posto.
I vigneti, quelli di Pico specialmente, risalgono al XVI secolo. Un tempo rigogliosi, intorno al 1860 furono distrutti dall’oidio, ciò che spinse gli isolani a un’emigrazione massiccia verso il Brasile. Più tardi, la coltivazione venne ripresa, ma su scala ridotta, con barbatelle nuove; i vini bianchi e rossi che si producono oggi a Pico sono molto apprezzati. Anche le vigne di Graciosa danno un ottimo vino bianco. Vigneti assai belli, con i tralci che si allungano dai ceppi come zampe di ragno e mantenuti orizzontali per mezzo di brevi paletti, si trovano pure a São Miguel fra Lagoa e Vila Franca.
Gli aranceti un tempo costituivano la ricchezza delle Azzorre. La maggior parte del raccolto veniva esportata in Gran Bretagna. Purtroppo una malattia delle piante segnò la fine di quest’attività, e nel 1880 le esportazioni cessarono del tutto. Nuovi aranceti furono piantati in seguito, ma c’è da dire che arance, mandarini e limoni delle Azzorre non sono gradevoli al palato. L’umidità eccessiva del elima è pregiudizievole alla qualità.
Qua e là si scorge un fico o un « guajavas », ma nulla più. La mancanza di alberi fruttiferi europei viene fatta risalire all’uniformità della temperatura e alla circostanza che non si ha una successione ben definita delle stagioni, assai necessaria ai meli, ai ciliegi, ai susini.»
«Le isole di Flores e di Corvo, entrambe assai remote, si trovano all’estremità occidentale della ghirlanda insulare. Tutt’e due offrono un approdo difficile e i battelli le toccano di rado, ma quanto a fascino e a bellezze naturali non sono affatto inferiori alle altre. Gli abitanti di Flores affermano che la loro isola è « la Svizzera delle Azzorre », riferendosi alla sua natura scoscesa, ai laghi e ai pascoli. Altri, invece, rivendicano questa definizione all’isola di São Jorge.»
«Le case di campagna sono rustiche e solide. Il basalto vi ha grande parte. Le più antiche, fatte di blocchi irregolari e coperte da un tetto di stoppie, vanno scomparendo; le poche rimaste sono state spesso adibite a granaio. Giunture, spigoli, cornici delle finestre e delle porte sono accuratamente imbiancate a calce. Il tetto, senza sporgenza, è a due versanti poco inclinati coperti di tegole convesse. Un camino imponente, sul tipo di quelli che si vedono nell’Algarve, sovrasta la casa. Le finestre, in genere, sono a telaio scorrevole; mancano le imposte esterne, che si notano invece in quasi tutte le costruzioni più moderne, insieme con le finestre a due battenti.
I motivi ornamentali e la purezza della linea di certe case signorili di campagna, abitate oggi da gente di umile condizione, testimoniano del gusto di coloro che le costruirono due secoli fa, o anche prima. Le più belle sono a Santa Maria e a Graciosa: nonostante i segni dell’usura del tempo queste case conservano ancora la nobile, antica impronta. Una caratteristica comune alle abitazioni isolate di campagna e dei villaggi è la loro piccolezza.
L’illuminazione elettrica è ancora ignorata, salvo nei centri principali. Adesso incominciano a installarla in alcuni villaggi, insieme con l’acqua, che viene distribuita da qualche fontana pubblica. Ma in campagna, per lo più, ogni famiglia dispone di una propria cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
In quest’arcipelago scarsamente industrializzato se togliamo – alcune fabbriche raggruppate quasi tutte intorno a Ponta Delgada – e ancora oggi a economia eminentemente agricola e pastorale, dove la popolazione vive secondo il ritmo dei secoli passati (un rilievo, questo, che non ha sottintesi peggiorativi), credevo di trovare viva la tradizione di un artigianato fiorente. Mi ero ingannato. Beninteso, nelle cittadine e nei villaggi gli artigiani non mancano, le donne lavorano ai merletti. Ma i mercati sono una fonte di delusioni, se si paragonano a quelli pittoreschi del Portogallo. I lavori in vimini, molto ben fatti (gli isolani sanno ricavare una quantità di oggetti), sono, direi, il solo prodotto artigianale dell’arcipelago, a parte le cianfrusaglie scolpite in avorio di capidoglio per uso dei turisti.
L’aspetto emaciato degli abitanti, qualunque ne sia la condizione, lascia stupito il forestiero. E ancor più lo stupisce la grande povertà di tanta parte della popolazione. Il contrasto fra la miseria della gente e la fertilità del suolo, bene coltivato e che dà almeno due raccolti l’anno, il fiorente allevamento del bestiame e la pescosità delle acque circostanti è profondo. Tutti questi elementi dovrebbero assicurare un certo benessere e un discreto tenore di vita ai laboriosi isolani. Numerosi segni stanno a dimostrare il contrario. Nella realtà la popolazione di queste isole conduce un’esistenza più che modesta, a volte addirittura miserabile. La causa prima pare sia da attribuire alla natalità eccessiva e al conseguente sovrappopolamento. E vero che il costo della vita è rimasto bassissimo, rispetto a quello di molti altri Paesi; però i salari sono irrisori.»
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